Narrativa

Il mistero di San Gianni

Ed ecco comparire / dalle volte che sembravano maestose / la casa dei primi lamenti / sul poggio concavo / aperto alla luce mattutina / al grecale e alla visione del mare… / san gianni… il canale… / tutto risuona di voci… / per un attimo. / come a quei tempi / ora non più…

La casa in cui sono nato mi ha sempre affascinato e incuriosito… Situata in posizione “strategica e ventosa”, su una collinetta di contrada San Gianni, al centro di una serie di terrazzamenti che salivano dal torrente Tre Carlini verso la parte più alta oltre la costruzione… la stessa era aperta alla visione del mare verso est e del paese di Ardore verso nord, quasi vertice di un ipotetico triangolo rettangolo… in basso a poca distanza un grande gelso e ad un passo un canale, la fonte sorgiva che serviva il fabbisogno idrico di tutta la zona…
L’abitazione, dimensionata su due piani, aveva una struttura massiccia, ma nello stesso tempo alla vista si presentava aggraziata per la presenza di archi, di una scala esterna e di una veranda, che davano all’insieme movimento e bellezza… Vista poi dal basso, quando si saliva dal torrente, aumentava in suggestività e proporzione, perché ben armonizzata con la natura.

Portato via dai genitori in tenera età per motivi di lavoro, il fascino di quel posto aumentò, e ogni ritorno era motivo di gioia immensa… nel periodo estivo la casa e tutta la zona per me diventavano oggetto di esplorazione minuziosa, insieme ai miei fratelli e ai ragazzi del posto… Ogni escursione diventava occasione per scoprire un nuovo “mondo” e nuovi oggetti, e nuove situazioni su cui fantasticare… ma alcuni “segni” mi lasciavano, e mi lasciano ancora oggi, perplesso e senza risposta… ogni itinerario, su e giù nella vallata del torrente Tre Carlini, in secca e percorribile in estate, tra la contrada San Gianni e le dirimpettaie Guardiola e Varcima, diventava una buona passeggiata ricca di visioni e suggestioni… una maestosa quercia centenaria sospesa sull’argine, con parte delle radici sospese nel vuoto, in lotta titanica e continua per la sopravvivenza con vento e pioggia; i resti di una fornace, romana, ancora caricata ma crollata, a poca distanza dal dromos l’antica strada greco-romana che collegava Taranto a Reggio; una serie di grotte, scavate sulle pareti d’arenaria del torrente, che servirono da ricovero anche in tempi recenti durante la guerra, nella zona più spettacolare dell’intero suo corso, sagomata dal vento e dalle acque come i canyons americani; la ricchezza dei reperti fossili…; una serie continua di catusi, che era il sistema più intelligente e ingegnoso per captare l’acqua dalle falde acquifere di cui è ricca la zona… Ma una cosa mi colpiva in particolar modo… una foglia di acacia disegnata a lato della grotta più grande e alla giuntura di due archi su cui poggiava l’intero primo piano della nostra casa… Capivo che simboleggiava qualcosa ma non sapevo cosa

A questo si aggiungevano i racconti fantastici della nonna, ambientati in tutti i paesi incastonati alle pareti dell’Aspromonte da Ciminà a Gerace a San Luca e Natile Vecchio, da Casignana a Ferruzzano a Bovalino ed Ardore, e a tutte le balze aspromontane da Petra Cappa e Pietra Longa, da Pietra Castello alle Pietre di Febo e alle Rocche di San Pietro, ricchi di querceti panorami mozzafiato e riposanti nello stesso tempo… racconti, che avevano come protagonisti lo sciocco Giufà, che da ingenuo e credulone riusciva però, nell’incontro-scontro con i furbi e gli imbroglioni, a trasformare la sua dabbenaggine in qualcosa di positivo e vantaggioso, o l’invidiosa maga Sibilla in lotta continua con la predestinata benedetta Maria madre di Gesù; gli improbabili viaggi in Aspromonte di Gesù con i suoi discepoli fra le pietre e le rocche della valle del Buonamico, i grossi monoliti simili alle Meteore greche e alla foresta di pietra della Cappadocia; le storie meravigliose legate ai due santuari più famosi della zona, quello della Madonna della Montagna a Polsi e quello della Madonna della Grotta di Bombile, o quelle straordinarie di Mata e Grifone, i giganti buoni, presenti in ogni sagra e festa locale, insieme al ballo del cavalluccio… racconti tutti, che facevano galoppare la mia fantasia…

Ma la storia più incredibile, che la nonna mi raccontò una sera d’estate con voce tremante, sulla veranda sotto un cielo particolarmente stellato, era quella che riguar-dava mio padre, il quale intanto era morto lasciando noi figli ancora in tenera età…
Era una notte di pioggia fitta -raccontava- quella del solstizio d’inverno del 1945, ma anche una notte di festa per la rinascita nei cuori del messaggio cristiano, la notte che lancia l’ultima sfida dell’anno alla luce, che lentamente si affermerà fino alla completa rinascita primaverile…Qui nella nostra casa di San Gianni mi affrettavo a preparare il cenone di Natale, assieme a tua madre, a tua zia, tuo padre e tuo fratello… Ero contenta dopo tanti anni di sofferenza e angherie…
Tuo padre a un certo punto, indossato un impermeabile e aperto l’uscio, si avviò verso il magazzino sito all’esterno della casa per prendere la legna per la cucina e il braciere…
Era buio pesto, la pioggia insistente… Ad un certo punto mentre era intento a difendersi dalle intemperie e ad abituare gli occhi alla poca fioca luce del buio… ecco intravede immobili delle figure in circolo ai piedi del grosso gelso, che campeggia al limite della nostra proprietà, gigantesco se pur spoglio dai lunghi rami tentacolari e in lotta continua con le forze brute della natura…
Un sussulto e molta curiosità: tuo padre, che era di natura generoso e sempre pronto ad aiutare il prossimo, di corsa è sotto l’albero per prestare eventuale soccorso…
Dodici strane figure, incappucciate e coperte da bianchi mantelli, immobili, che lasciavano intravedere la pelle del viso, che aveva il colore e la rugosità del tronco, con i piedi saldi e fermi, quasi radicati alla pianta… barba e capelli bianchi che fuoriuscivano abbondanti lunghi e cespugliosi… dando loro un aspetto senza età…
A nome di tutti, il più anziano prese la parola dicendo all’attonito tuo padre: “Non aver paura, siamo qui per affidarti un messaggio di pace e di crescita. Nel lungo percorso dell’umanità verso la perfezione, i singoli trasmigrano dopo la morte nei nuovi corpi finché non si completi il ciclo formativo e la materia si trasformi in puro spirito. Tale processo non ha tempi prestabiliti né condotta lineare in quanto diversi sono i momenti di crisi che impediscono progressi concreti. In pratica poi solo pochi uomini sono quelli che completano il ciclo formativo, solo pochi sono quelli che danno impulso al progresso dell’umanità, con le loro azioni e con la loro saggezza, riparando ai danni della maggioranza. Solo pochi sono quelli che, nel rispetto del libero arbitrio e del caso, vengono predestinati a svolgere un ruolo primario e di guida. L’ultimo secolo è stato particolarmente difficile per l’umanità: al progresso tecnologico si è affiancata una estrema violenza e cattiveria degli uomini, che è sfociata in dominio oppressione schiavitù razzismo e violente guerre. Il percorso si è interrotto: le trasmigrazioni di diverse generazioni necessariamente si sono indirizzate verso corpi inferiori, del regno vegetale e del regno animale, in attesa di tempi migliori. In quest’albero vive un’entità che esprime solo potenzialità da trasmettere ad un nuovo essere-guida, dopo l’adempimento del necessario passaggio di conoscen-ze emozioni e sentimenti da un essere, in procinto di lasciare il suo involucro materiale già il primo luglio del prossimo anno, in un nuovo corpo, che è già stato concepito e presto nascerà per svolgere il ruolo a lui assegnato in simbiosi con il gelso. Sette sono i rami principali, e ogni ramo offrirà per tredici anni fra le more normali anche quelle della scienza e della conoscenza. Toccherà poi al nascituro l’annuale sforzo della scoperta e conciliare in perfetta combinazione il libero arbitrio, la predestinazione e il caso…”
Tuo padre non ebbe il tempo di riflettere su quanto succedeva, o fare domande o chiedere spiegazioni, che i vegliardi scomparvero come inghiottiti e assorbiti dalla terra…Da allora tutta la famiglia ha guardato a quell’albero con rispetto e timore…e cercare di capire il significato di quanto successo…

Passano gli anni, ma il fascino della casa, del Canale, del gelso non diminuiscono… ogni ritorno è un immergersi in una dimensione atemporale e fuori dagli spazi fisici e psicologici comuni…ogni ritorno a San Gianni, oggi, dinnanzi ai ruderi della vecchia casa, che è stata violentata e bruciata da vandali senza cuore, e al sempre vitale albero di gelso, è gioia nostalgia emozioni… ogni ritorno è un ritorno a Delfi per cercare di interpellare l’oracolo alla ricerca di una piccola nascosta verità, come facevano i nostri padri ecisti quando partivano per nuove avventure… l’albero in particolare è il punto di riferimento di tutte le mie emozioni passate e presenti, dai suoi rami si diramano ancora le conoscenze le sensazioni le esigenze il senso della vita…
Perché con il gelso è stato un colloquio continuo: rappresentava il piacere e gli aspetti più belli della vita, la dolcezza e le cose che la rendono interessante, il mondo della fantasia dove rifugiarsi e staccare dal trantran quotidiano. Per tanti anni, premio e regalo per le promozioni scolastiche ha significato il mio soggiorno al paese natìo: con gioia immensa, in quanto rappresentava il mondo dell’evasione e delle coccole da parte di tutti i parenti; il periodo di libertà assoluta, lontano dai duri metodi educativi di mia madre. E responsabili, perché la morte del marito le rendeva notevolmente duro crescere tre figli ancora minorenni…

Il Canale era la fonte Castalia, dove bere l’acqua per diventare poeta… Al centro della zona, in posizione strategica, era l’agorà della contrada, dove non solo si attingeva l’acqua per tutti i bisogni, con recipienti a mano oppure con i barilotti trasportati dagli asini, ma si tentava anche di cogliere le voci e gli echi delle profonde dispute tra i filosofi e i sentimenti delle grandi conversioni… era occasione di scambi culturali sociali di informazioni e notizie dal mondo, che giungevano con i tempi lunghi e con l’eco di fatti epici: la crisi di Suez acquistava i caratteri e l’epicità della guerra di Troia; Bruno ‘u murcu, il saggio della comunità, che andava in asino annualmente al Santuario di Polsi nell’inaccessibile Aspromonte, agli occhi dei ragazzi come me appariva con il piglio guerresco di El Cid in partenza per la guerra contro i Mori. Gli asini, in calore, o come dicevano gli adulti con la mosca al naso, nel frattempo si scambiavano con vivacità i ragli d’amore, rischiando di rompere il carico e creare scompiglio, spettacolo gradito auspicato e a volte favorito dai più piccoli… Il Canale era il luogo preferito di noi ragazzi, sempre alla ricerca di nuovi giochi e scherzi da sperimentare su vittime umane animali e vegetali…

La raccolta delle more rappresentava, ma anche e ancora oggi, l’appuntamento annuale per eccellenza del sottoscritto, insieme, nel corso degli anni, ai giovani parenti alla moglie e ai figli: l’escursione si concludeva nello spiazzo del canale, con le magliette e le mani insanguinate nel tentativo di pulirle utilizzando le more rosse ancora acerbe… mentre il gelso è sempre lì, forte e resistente al tempo e alle intemperie: colpito e lesionato anche da un fulmine, è sempre rigoglioso, mentre tutto intorno è in degrado, casa terreni viottoli e strada… Le more sempre dolci; la loro dolcezza rappresenta nel mio animo la dolcezza dei ricordi, l’innocenza dell’infanzia, la nostalgia di un tempo semplice, ormai lontano, le corse sugli asini da noi incitati come stalloni arabi, i giochi infantili, spesso crudeli quando venivano coinvolte galline pecore e zafrate, le povere lucertole alle quali veniva staccata la coda, non senza prima che i sadici persecutori avessero recitato la formula dello scongiuro: non fu eu non fu eu, ma fu u cani du iudeu, non fu diu non fu a madonna, ca fu u diavulu cu i corna (non sono stato io, non sono stato io, ma è stato il cane dell’ebreo, non è stato Dio né la Madonna, ma è stato il diavolo con le corna)…

San Gianni rimane un posto magico… anche ora con la casa semidistrutta, e con gli abitanti della contrada lontani in posti più vivibili… Tra i ruderi c’è sempre qualcosa da scoprire, un segno una traccia che mi riporti all’atmosfera di un tempo, forse ormai definitivamente resettato dai moderni modelli di vita…

La scorsa estate, durante uno dei tanti ritorni a San Gianni, mi ricordai della foglia di acacia disegnata sulla casa e davanti alla grotta grande… mi misi alla ricerca e quale fu la mia grande sorpresa nel constatare che dalla giuntura, su cui era stilizzata la foglia di acacia, che univa due archi, ormai completamente lesionati, pur mantenendo l’aspetto austero di un tempo, fuoriuscivano da un contenitore di terracotta, cilindrico ormai semidistrutto, simile ai contenitori cavi che in edilizia si usavano per traforare le volte per dare loro rotondità e sfericità, dei fogli bruciacchiati e in alcuni parti illeggibili…

Con emozione misi contenitore e fogli in una piccola scatola… di corsa andai a casa e con estrema cautela tolsi dal contenitore tre fogli bruciacchiati, li poggiai su un tavolo pulito e asciutto… e con l’aiuto di una lente d’ingrandimento riuscii a leggere:
sul primo foglio: “A   \   D U /   ssone Uni er ale –   un o e   liana / L BE T GUA IA ZA – RATE LAN A /   creto n.1   – Co titu   ne \L\ L M E D G L O n.1 7 / Q a ro fr te i     ATORI fi atari a ti costi ti i: 1) M n a e ne a lo 2) a t lo G ov nni ) ap av g a Ni ola 4) R o o a erio 5) So a a Car i e 6 R p lo om ico 7) Mo a ito An r a 8) P ea C r   o 9) So la zo Vi ce o 0) Ma r Pa u le / Dat   a P la zo iu iniani, a l’Or\ di   ma, nella V le del T vere, il giorno X V I del m e V dell’Anno di \L\ 0005 2, e dell’E\ \ il g o no 28 d l me e di l glio 1 2 / R N M E TRO Do zio  R IGI NI”;
sul secondo: “A \D\ A\ U\/ M son ia Uni er ale – C un ne I aliana / LI E TA’ – UG A IANZA – FRATE LA ZA / R\L\ “ E M E DI GE SO” n° 87 O ente di Ar ore / I ti o di bo lo e del su gello è il s gue te: Nell pa te ce trale di un cer io sarà ins rito un di egno raffi ura te un gr de ge so su un p ano spo gente sul mar a erto, al a sini tra un s le ed alla des ra una s uadra ed un com   so, tu ti so enti dal ma e. Il t to rac iuso in un p imo ce hio. T a il pr o ed il secondo cer hio es rno la di tura: “ .L. Le   re di e so – V le del int mati – Or. di rd re”;
e sul terzo foglio: “A\ \D\ A\D\   /   son ria ni er ale – C un ne It ia a / LIB T   – U UAGLIAN A – RATE LA ZA / R\ \ “ E MO E DI G LSO” n° O ien di dore / PI DILI TA / Al 3 – 2-1 22 ris ltav no isc itti i se enti fratel i: ) o pio Gio n i a tista 2) C ar n no A ca gelo 3 R eo   no 4) D om nico G va ni 5) An i i Fr n esco 6 S l z o G se pe 7)   ulli Br no fu D me ico )       Vi c nzo 9) C   olo Ca lo 0) ilan G seppe 11) M   le e D menico 1 ) B   ari F ance co 13)   p a Fr n sco f Gi eppe 14 M ra do Ca lo 15) M   Giu ppe fu Ro rio 16) m iti Vi en o 17)   avolo F ancesco 18) Cer   B uno 9) Ba   P   uale 20) a pia Pa lo 1) Mi     D m n co 22) S   o Gi ep e 3) in   n Gi seppe fu Ro ario 24)   tilo B uno 2 ) F   o e B uno 26) R   o R cco 27) F li   e G se pe 2 )   p ia F ancesco fu Ro rio 29) Z   ia A tonio 30)     one V ncenzo 31) S c D enico fu Nicola 32) Z     Gi vanni 33) i o V cenzo 3 ) P i e li Peppino fu Em an ele 5) B a Giovanni di Gi   pe, M es ro di Ce monia”

Con emozione trascrissi quelle tracce su un foglio… e fu una fortuna, perché più tardi mia moglie, ignorando l’origine e l’importanza di quei frammenti, in un momento di mia assenza, li buttò nel caminetto…

Fu grande la mia sorpresa nell’intuire da quei frammenti la presenza nel territorio di Ardore di un qualcosa, sconosciuta agli storici locali… Ho cercato di chiedere lumi ai più anziani della zona, ma ormai erano rimasti in pochi e con poca memoria, per cui non è possibile capire bene il vissuto misterioso in quella zona… e intanto la casa diroccata di San Gianni, sicuramente non costruita a caso per i simboli e significati esoterici presenti, continua ad essere il polo nord della mia bussola, che mi aiuta a veder chiaro quello che è stato e quello che è e a rendere possibile il desiderio di quel che sarà, con tutte le fragilità, le precarietà e i dubbi delle verità raggiunte, come anche il protagonista del film Il posto delle fragole amaramente afferma: dov’è l’amico che il mio cuor ansioso ricerca ovunque? finito il dì, ancor non l’ho trovato e resto sconsolato…

Le ricerche non mi hanno dato la possibilità di ricostruire un quadro chiaro degli avvenimenti di quella contrada agli inizi del secolo scorso… solo frammenti di vita sociale, che però fanno intuire l’atmosfera del tempo e danno la possibilità di fare qualche ipotesi… Di certo so che i miei nonni materni si sposano nel 1920 e abitano diverse case della zona fino a quando non acquistano nel 1932 il palazzotto di contrada San Gianni, con i risparmi del nonno, che nel 1927 era emigrato in Australia. Di certo so per le testimonianze di alcuni anziani che gli abitanti della zona erano molto uniti, affratellati da tristi condizioni di vita, ma anche dal desiderio di combattere per migliorarli ed evitare la condanna dell’emigrazione… Dai frammenti si ipotizza che in zona fosse presente un’associazione massonica agricola, che doveva servire da strumento rivoluzionario di crescita intellettuale, morale e anche sociale… senonchè l’affermarsi del fascismo rese impossibile qualsiasi forma associativa, a seguito dell’emanazione di leggi contro le associazioni massoniche e cattoliche, e contro la libera stampa… Per non subire le violenze degli squadristi fascisti, molti furono costretti ad operare nella clandestinità… La Massoneria sciolse le logge e sospese ogni attività ufficiale in tutto il territorio nazionale in attesa di tempi migliori… Anche la loggia di San Gianni certamente entrò nella clandestinità, nascondendo gli atti più importanti e sicuramente distruggendo altro materiale cartaceo per non lasciare tracce… le lettere e i numeri sopravvissuti all’incendio, analizzati e studiati con le possibili integrazioni, fanno ritenere che i tre fogli fossero rispettivamente il decreto di fondazione della Loggia, l’elenco dei fondatori e il piedilista di loggia.

da “I Racconti della sera” di Carlo Ripolo

 

You cannot copy content of this page