Poesia

La Rotonda, tra mare e lungomare

 

Non amo ritornare ogni anno allo stesso Lido

– ma sono sempre qui – a ritrovare le stesse persone

 

Barche e motoscafi d’ogni grandezza, ogni giorno,

puntano le prue verso i mari di Ulisse, e con forza

il passato riaffiora e deformante dolce prospettiva.

 

Tra il mare e a canceglia nitidi i ricordi di veloci corse

e i gioiosi capitomboli su approssimati giocattoli

da mani infantili appena sgrossati, suso e jusu,

per strade polverose a ridosso della strada ferrata e

del casello del cav. Imbalzano, sempre attento a regolare

scambi e a controllare l’antico passaggio a livello…

 

E sempre pronti a rintuzzare il nemico di turno, attorno

la grande torre Scinosa affacciata sul sacro orizzonte,

(oggi scomparsa per l’ignoranza mai doma di uomini e istituzioni).

 

Solo La Cava (sempre intento a vagliare le ragioni del vero

e a indicare le vie umane del bello e del giusto), dal suo balcone

sul mare, ancora incredulo osserva le minacciose tartane saracene

accostarsi a riva, con un carico pesante di morte e distruzione,

l’otto settembre del millecinquecentonovantaquattro, giorno

di violenza e di miracolo, data cruciale nella storia del paese.

 

Difficile ripartire, come conviene, oggi verso l’ultima meta

col sorriso di morgana, improvvisi ostacoli e durature procelle

spingono sempre su rotte diverse, l’isola del graal non sempre è vicina

 

I giochi d’estate, i tuffi nel mare limpido e le infinite partite

a pallone, tra Pintammati Malachia e il sonnacchioso Buonamico,

o a tennis sul campo cementato davanti alla grossa fabbrica

del legno, felici e sporchi di sabbia e di polvere di stelle, tesi

al richiamo allettante de La Rocchetta il primo lido e la movida

paesana, perennemente inseguiti dal feroce guardiano di turno.

 

Dalla Rotonda, come ferma prua, non c’era bisogno, ieri

come oggi, di sognare un altro mondo e avventure oltre

capo bruzzano, l’orizzonte e le grandi navi in transito.

 

A consigliarmi, dinnanzi alle acque pure e cristalline, avanza

Nosside, bella e leggiadra nel portamento, la poetessa

dai versi profetici e melodiosi: “Straniero, se navigando

ti recherai a Mitilene dai bei cori, per cogliervi il fior fiore

delle grazie di Saffo, dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese

mi generò. Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!”

Non amo ritornare ogni anno allo stesso Lido – ma il rito

si ripete puntuale – a fare la conta di chi non c’è più

 

Gli echi di tarantelle e l’azzurro cangiante del mare nell’ampia

baia e il profumo di vividi rossi gerani e di zagare in fiore

mi riportano con nostalgia e amore a tempi e luoghi lontani…

 

Su queste acque si affaccia La Rotonda e il mio paese, con le sue

orgogliose miserie, gli antichi problemi, le dignitose bellezze

e il fiero isolamento, mentre il grecale riporta i sogni omerici

e migranti in cerca d’improbabile fortuna tra ultimi e iellati,

e la tramontana spazza via giorno per giorno, col mare increspato

e rumoroso, ogni voglia di crescita, integrazione e di riscatto.

 

Ma cosa fare e dove andare per dare senso e motivo a nuovi

percorsi, con nuovi desideri, bisogni e stimoli? Sicuramente

da emigrante, qui i tempi sono e sono stati sempre tristi.

 

Lo ricorda ancora Alvaro, con magistrale e cesellata maestria…

Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno,

quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra

navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite

di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro

coi lunghi cappucci…I torrenti hanno una voce assordante.”

 

Assordante come la voce del grande stilese, che dal Consolino

ancora ammonisce, con indice inquisitore e coerente pensiero,

rifuggendo da tentazioni, compromessi e accattivanti lusinghe:

 

Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi,

ipocrisia; carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia,

lussuria, accidia, sdegno, tutti a que’ tre gran mali sottostanno,

che nel cieco amor proprio, figlio degno d’ignoranza, radice

e fomento hanno.” Segno dei tempi e di quelli che verranno,

ancora privi della loro città del sole e delle altre utopie.

 

Ma debellar mali è difficile qui e forse inutile, ce lo ricordano

tutti i martiri, compresi quelli uccisi nella bella Gerace: Bello,

Mazzoni, Ruffo, Salvatori, Verduci. Precursori di libertà.

 

E gli fa eco “speranzoso” il più noto scrittore palmese: “Quando

fu il giorno della Calabria, Dio dedicò tempo e arte a modellare

un capolavoro, suscitando la reazione distruttiva del maligno,

che aggiunse tutte le calamità possibili, dalla violenza alla miseria,

dall’emigrazione al bisogno della libertà e del meglio”. “In ogni cosa

il meglio è la misura”, da tempo sentenzia inascoltato il Maestro.

 

Non amo ritornare ogni anno allo stesso Lido – ma il richiamo

è pressante – ad accumulare ricordi, visioni ed emozioni…

Sdraiato su un comodo lettino di mare, mi par di vedere ancora

i velieri alla fonda in attesa di caricare il prezioso legname

d’Aspromonte, volano economico un tempo insieme a Siba e Rica.

 

Nel silenzio della calura estiva, da un finestrone della Rotonda

si sente la voce del sig. Francesco: “Alessandro, mi raccomando,

controlla il 71” e quella del sig. Bastiano, rivolta ad Enzo “Artusi”:

ma l’acqua di mare la devo prendere a mare?” In attesa a distanza

tenta un audace gabbiano di riaffermare il dominio sulla risacca.

 

da “Tempi nuovi” di Carlo Ripolo

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