Saggistica

La Scuola di Francoforte

 

 

Vi sono analisi che non vanno al di là delle contestualizzazioni storiche, che perdono efficacia e considerazione nel tempo, altre invece hanno quel carattere di universalità che le rendono in ogni periodo storico interessanti e attuali. Credo che quest’ultima considerazione si possa applicare al “laboratorio” di idee che è stato la cosiddetta Scuola di Francoforte. Il contributo dialettico di idee offerto da questo gruppo di pensatori tedeschi, teso a dimostrare le contraddizioni interne del pensiero marxista e della società, si dimostra stimolante al di là della caratterizzazione storica, dispie-gando utilità e sorprendente efficacia anche nelle problematiche attuali legate alla globalizzazione dell’economia e della comunicazione, le cui soluzioni vanno trovate non solo con mezzi e strumenti del pensiero moderno. Non a caso: è considerazione diffusa che le “crisi” trovano in genere soluzioni e risposte nel recupero del pensiero “classico”, ovvero nelle idee che superano gli “angusti sentieri del tempo” (concetto presente anche in Cicerone e Pitagora), attualizzandone le indicazioni sulla ripresa di una seria progettualità e sui valori “eterni” dell’uomo, e soprattutto sulla difesa dell’umanesimo nella società moderna per “superare” violenza e consumismo.

In questa direzione la cultura tedesca, nell’ambito della cultura europea moderna e contemporanea, occupa una posizione preminente, risultando la più problematica e la più rilevante come capacità di modificare gli orientamenti dell’uomo nei riguardi della realtà. Noi, in fondo, pensiamo come pensiamo perché sono esistiti Hegel, Marx, Schopenhauer, Nietzsche, Freud, Einstein, tutti uomini di cultura tedesca che hanno contribuito, in modo diverso, a condizionare la nostra visione della realtà. Hegel è il primo a stabilire che ciò che esiste è una realtà spirituale, globale, dinamica, drammatica, sempre in mutamento contraddittorio (dialettico), per cui non c’è una storia che abbia dei valori perenni; i valori, le concezioni mutano con il mutare dello Spirito.Lo Spirito nega continuamente se stesso, afferma continuamente se stesso, va sempre avanti. Ogni epoca ha una sua razionalità. La razionalità di un’epoca è quella che corrisponde allo Spirito dell’epoca. Chi non riesce a vivere lo Spirito dell’epoca, si isola dal suo tempo, quindi s’isola dalla razionalità (la cosiddetta “coscienza infelice”). Marx accoglie la dialettica, ma non ritiene il mutare della storia come mutare dello Spirito nel tempo, il mutare della storia deriva dal mutare della struttura economica. Secondo Marx al mutare della struttura economica, mutano anche le ideologie degli uomini che sono strettamente dipendenti dalla struttura economica, e cambiando gli strumenti di produzione cambiano i rapporti di produzione, le classi e quindi le concezioni e le ideologie delle classi (teoria detta del materialismo storico). Schopenhauer e Nietzsche negano totalmente il processo della razionalità come l’avevano inteso Hegel e Marx. Per il primo è impossibile che sia così. Le forze costitutive dell’uomo sono forze irrazionali, dovute alla volontà di vivere. Tutto ciò che noi pensiamo è condizionato dalla volontà di vivere, dai desideri e dalle passioni. La ragione, quindi, è, eventualmente, una razionalizzazione, non è razionalità. Lo stesso per Nietzsche., il quale però, a differenza di Schopenhauer, non ritiene che sia la volontà di vivere la base costitutiva dell’uomo, bensì la volontà di potenza, la quale determina una differenza radicale secondo come è posseduta da ciascun uomo. Tutti cercano d’imprimere nella realtà il loro segno (potenza), ma c’è chi lo fa in maniera vitalistica e chi invece lo fa in maniera mortuaria, afflitta: il signore ed il gregge. Il signore crede in se stesso, crede nella sua forza vitale. Il gregge non crede nella sua forza affermativa, si afferma negando la vita. Siccome il gregge non è capace di vivere, sostiene che la vita va negata, per questo concepisce Dio, un al di là, ritiene che chi si afferma in questo mondo non vale niente; nasce il Cristianesimo, il Comunismo ecc.. Nasce la ribellione dei più deboli che da singoli nulla possono, ma organizzati sono una grande forza. Per Freud, che filosoficamente deriva da Schopenhauer e da Nietzsche, l’Inconscio (l’Es) è la volontà di vivere e la volontà di potenza, le quali si biforcano in una volontà vitale, Eros, e in una mortuaria, Thanatos.

La Teoria Critica della Scuola di Francoforte nasce in questo clima culturale e in un momento storico particolare, la fase successiva alla Prima Guerra mondiale. La Germania ha perduto la guerra, l’Austria ha perduto il suo impero; c’è la sconfitta degli Stati Centrali. Si sono avute guerre civili e tentativi di rivoluzioni sociali. La Germania è stata smembrata, vive una crisi completa dopo il crollo di Wall Street del 1929. Il proletariato è nella massima disperazione. Assistiamo a tentativi di rivoluzione comunista e a tentativi di stato autoritario. Era già sorto il Nazional-socialismo, razzista, dittatoriale, militarista, imperialista, revanscista.. Intellettuali ebraici, i quali di per sé hanno sempre avuto un atteggiamento critico nei riguardi del potere, per ragioni legate sovente alla loro emarginazione, si che considerano il potere come autoritario e negativo, facendoli schierare con le minoranze ed i ceti perseguitati; ebbene alcuni intellettuali ebrei decidono di formare un gruppo che analizzasse i fenomeni della società. Nasce in questo contesto storico e culturale la Scuola critica di Francoforte. Il termine critica è un termine decisivo nella cultura tedesca. E’ un termine specificamente tedesco. Si usa anche in altri paesi, ma in lingua germanica assume un significato preciso e particolare. Il termine è legato specialmente a Kant, che scrisse: Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del giudizio, tre opere che propongono un atteggiamento d’analisi pregiudiziale nei confronti della realtà e dell’uomo stesso. Critica significa valutazione, osservazione, analisi, vaglio della realtà. Non va intesa nel senso comune del termine cioè di giudizio negativo, piuttosto, ripetiamo, come analizzare, vagliare, osservare, non lasciarsi andare ad un’adesione sentimentale nei confronti della realtà. Il sentimento non deve prevalere sulla ragione. Tutta la teoria critica è basata su quest’aspetto fondamentale. Bisogna vagliare, analizzare, esaminare, mai abbandonarsi all’intuizione, al sentimento, all’irrazionalità, perché questo significa non sapere dove si va a finire. Bisogna essere critici anche verso la ragione. La Teoria critica s’innesta in tale problematiche. Essa ritiene che non si deve vivere di sentimenti, di passioni, d’emozioni, e questo contro Schopenhauer e Nietzsche, i quali avevano sostanzialmente negato il valore della ragione. La Teoria critica nega questa posizione, secondo la Teoria critica non si può assegnare un ruolo subalterno alla ragione. Negli Stati Uniti inizia un’altra fase della Teoria critica. Il collegamento tra le concezioni di Marx, Schopenhauer, Nietzsche, Hegel con la cultura americana, rappresenta un impatto decisivo: la grande e complessa cultura europea viene in contatto con lo sviluppo avanzatissimo della società americana. Gli intellettuali tedeschi della Scuola di Francoforte, colsero una società totalmente diversa da quella in cui avevano vissuto. Si trovarono di fronte una società di potentissime corporations, d’enormi gruppi industriali e finanziari, un proletariato non più rivoluzionario, inserito nel sistema dei consumi. Capirono che le formulazioni europee non si addicevano alla società americana. Da quest’incontro della complessa cultura europea e della possente società produttiva americana, nasce il tentativo dei francofortesi di salvaguardare l’eredità culturale europea in una società che spazzava via quest’eredità, e che forniva il modello anche per il futuro delle società europee. Tutto ciò rappresenta la grande avventura della Teoria critica, tenendo però conto che Horkheimer, Adorno, Marcuse, e Fromm, si differenziano notevolmente. Nei primi due, che forniscono alla Teoria critica stessa il libro più famoso e fondamentale: Dialettica dell’Illuminismo prevale l’aspetto critico; in Marcuse c’è un’aspetto propositivo, ma il più propositivo di tutti è senz’altro Fromm, che vuole salvare l’eredità dell’umanesimo europeo anche nel mondo della tecnologia, del consumismo e dell’integrazione del proletariato com’è proprio della società americana e, in genere, del capitalismo avanzato.

Nel suindicato saggio, Horkheimer ed Adorno sostengono che l’Illuminismo nel momento in cui pone la Ragione a fondamento dell’agire umano, pone la premessa del dominio razionale degli strumenti di produzione, della razionalità dei processi produttivi, i quali s’impongono all’uomo. Pertanto la ragione si è spostata, dalla razionalità dell’uomo alla razionalità della produzione. La situazione è degradata. La razionalità risiede nelle strutture produttive che, però, strumentalizzano l’uomo, facendone uno strumento del sistema produttivo. Non è la ragione dell’uomo ad imporsi agli strumenti, bensì la ragione e la razionalità degli strumenti ad imporsi all’uomo. L’uomo è diventato una macchina tra le macchine. La dialettica dell’Illuminismo è una dialettica di asservimento dell’uomo; la ragione illuminista è diventata, trasferendosi nei sistemi produttivi una prigione per l’uomo. Nei sistemi industriali, moderni, tanto che siano capitalistici in senso proprio che socialisti, non c’è scampo e possibilità di uscire dal dominio della razionalità degli strumenti. Solo l’intellettuale comprende questi processi di asservimento e quindi li critica, cerca di denunciare la situazione. L’Illuminismo si è capovolto, da concezione in cui l’uomo guidava se stesso con la ragione a concezione in cui la ragione è degli strumenti, è un processo razionale di mezzi e scopi non della ragione nel senso di trovare valori: giustizia, umanità e cosi via. La Scuola accentua quest’aspetto nelle ricerche sulla Personalità autoritaria, attraverso le quali si cerca di dimostrare tramite parametri dette “scale” sulla formazione dei ragazzi, che costoro, se hanno avuto un padre autoritario, tendono a volere anch’essi l’autorità, l’obbedienza. Chi ha avuto un padre autoritario è abituato ad obbedire e vuole che gli altri obbediscano come ha obbedito lui. Quindi si diventa autoritari con gli altri per volerli servi come lo è stato il soggetto che ha subito l’autorità. Si spiegherebbe in tal modo la massificazione della società. Successivamente, Adorno svolse delle analisi sulla società capitalistica avanzata; se è vero che la società moderna capitalistica è una società di razionalità che asservisce l’uomo, e se è vero che in una famiglia con padre autoritario nasce la tendenza all’autoritarismo, è vero anche che la società capitalistica è oltre che una società di produzione una società di consumi, il che causa quella che Adorno una “cultura di massa”, la società dei consumi di massa. La società in cui pure la cultura è “consumata” come una qualsiasi altra merce, anche la cultura è ridotta a merce. Per esattezza bisogna dire che Adorno e Horkheimer rifiutano il termine di “cultura” per questo tipo di società, preferendo adottare come più appropriato, anche sul piano descrittivo, il termine di “industria culturale” (Kulturindustrie), espressione adoperata per la prima volta nella Dialettica dell’Illuminismo nel 1947, che sostituiva quella di “cultura di massa” presente nella prima stesura. Questa espressione fu sostituita con industria culturale per eliminare subito l’interpretazione che fa comodo ai suoi difensori: che si tratti di qualcosa come una cultura che scaturisce spontaneamente dalle masse stesse, della forma che assumerebbe oggi in arte popolare. Da cui viceversa l’industria culturale si differenzia nel modo più assoluto.”

La ragione oggi è considerata solo un accorto uso dei mezzi per i fini: chi riesce a impiegare mezzi idonei ai fini è razionale. Questa concezione appare ai teorici di Francoforte decisiva per interpretare la nostra epoca: non c’è più razionalità sostanziale che cerca e trova verità, giustizia, bene piuttosto razionalità strumentale che sa impiegare mezzi per fini, un delitto ben compiuto diventa in tal senso razionale. I teorici di Francoforte fanno risalire questa concezione della razionalità strumentale all’Illuminismo, il quale si sarebbe incarnato nella razionalità dei sistemi produttivi industriali. A tal punto l’uomo scompare, diventa meccanismo del sistema produttivo, strumento degli strumenti, funzione del “sistema” (da ciò la critica al funzionalismo) e, da ultimo, funzione consumatrice dei sistemi produttivi che riducono perfino la cultura a merce. C’è possibilità di rifondare l’uomo al di là della sua strumentalità nei sistemi produttivi e consumistici?

Oggetto di questa ricerca è il pensiero politico di Max Horkheimer e la sua «teoria critica della società», con la quale cerca di dimostrare che c’è un rapporto reale tra situazione storica e teoria: nessuna teoria è autonoma o neutrale e ogni teoria ha sempre, implicitamente o esplicitamente, l’aspirazione a cambiare la realtà; perciò il fascismo è l’espressione ideologica e istituzionale di ciò che è il capitalismo moderno in crisi; in tal senso il fascismo, come il nazismo, è anche un fallimento teorico, e il suo significato va al di là dei limiti storici dei regimi che l’hanno incarnato. La società attuale, figlia dell’illuminismo, della fiducia nella ragione, rappresenta il capo-volgimento dell’illuminismo; anzi lo stesso illuminismo, da strumento di liberazione dell’uomo, s’è trasformato in strumento del suo assoggettamento. Tale società tuttavia è in trasformazione; da società borghese, strutturata sul capitalismo privato, si va trasformando in società di massa, funzionale al capitalismo monopolistico; tale trasformazione produce un’ulteriore razionalizzazione della esistenza umana, ma a condizione di una piú intensa alienazione dell’uomo, costretto a conformarsi, con le sue scelte private, ai modelli dell’«opinione pubblica» che, a sua volta, è manovrata da raffinati strumenti di propaganda. L’intellettuale quindi non può «astrarsi» dalla situazione concreta; si deve invece assumere il compito di coscienza critica contro l’integrazione dell’uomo nel sistema sociale ed il suo assoggettamento ad esso.

Estratto da “La Scuola di Francoforte”

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